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cena con me e Fede.
«Quando finisco qui passo un attimo da casa e poi vi
raggiungo. Porto io il vino. Ciao.»
Consegnato il foglietto, il gioielliere ci ha chiesto se
potevamo rifare il disegno un po' più grande perché
non capiva bene e ci ha dato un foglio della sua stampante.
Mi sono rimesso a disegnare ma questa volta ci
ho messo un secondo. Ormai era chiaro anche a me cosa
voleva Federico.
«Ecco, vorremmo questo ciondolo in oro bianco.
Quanto tempo ci vuole?»
«Due settimane al massimo. Dovete lasciare una caparra
di cinquanta euro.»
Federico in quel momento non li aveva e allora li ho
anticipati.
Ci ha dato una ricevuta che ho tenuto io perché avrebbe
chiamato me sul cellulare quando la collana sarebbe
stata pronta, visto che Federico il telefono non ce l'aveva.
Abbiamo fatto ancora un paio di giri e poi siamo andati
da me.
«Ho voglia di fare tutte le cose che non posso fare a
Boa Vista. Andare al cinema, girare per negozi, comprare
qualcosa di inutile e stupido. Voglio andare su e giù
per una scala mobile.»
In quei giorni passati con lui mi sono accorto che in
tante cose era cambiato, ma ero felice di scoprire che
stavamo ancora bene insieme.
***
Capitolo 5.
Sotto casa a chiacchierare.
Eccoci a cena. Io, Federico e Francesca.
Si sono piaciuti subito. Io ero l'addetto ai fornelli. Federico
ha preparato delle caipiroske. Praticamente ne
ha fatta una gigantesca nell'insalatiera piena di ghiaccio,
che noi in passato avevamo sempre chiamato "il
secchiello della felicità". Mentre io cucinavo un semplicissimo
riso basmati e un pollo al forno con le patate,
Federico e Francesca chiacchieravano di là. Io non sentivo
bene, ricordo solo che ridevano molto. A Francesca
avevo parlato spesso di Federico e lei aveva sempre
avuto il desiderio di conoscerlo. Con l'arrivo di Federico,
io e lei avevamo messo da parte la nostra crisi che
era in atto ormai da un po'.
«Una volta Michele mi ha raccontato che una sera tu
gli hai fatto un discorso e che dopo un po' hai cambiato
totalmente vita e te ne sei andato, hai iniziato a viaggiare.
Michele parla un sacco di te. Com'è stato cambiare
così radicalmente la propria vita, trovare la forza di farlo?
Non credo sia stata una cosa facile, no? Non sai
quante volte anch'io ci ho pensato.»
«All'inizio non è stato per niente facile. Partire così,
mollare tutto e tutti senza sapere che fine avrei fatto è
stato pesante, però dopo ho scoperto un sacco di cose
che mi hanno aiutato a superare la situazione e alla fine
ero talmente cambiato che non ho più avuto problemi.
Comunque, adesso che ce l'ho fatta, posso dire che è
una cosa che possono fare tutti. È solo che non sapendolo
hai molta più paura di quella che dovresti avere, cioè
in realtà fa più paura l'idea che farlo veramente.»
«E come mai hai preso quella decisione?»
«Non lo so. So solo che mi ero stufato della mia vita e
che la trovavo inutile, priva di emozioni reali e molto ripetitiva.
O forse semplicemente avevo finito gli argomenti
per distrarmi. Sono stato affascinato improvvisamente
dall'idea di vivere l'incertezza.
«Devo dirti che è stata la cosa più intelligente che abbia
mai fatto nella vita. Sono partito per trovare l'altra
metà di me.»
«E l'hai trovata?»
«In parte sì. Più che un nuovo me, ho trovato un modo
nuovo di vivere.»
«Quindi sei una persona felice adesso?»
«Aridaje... ma che, siete del club "cercasi felicità"? La
stessa domanda nel giro di ventiquattr'ore: anche Michele
me lo ha chiesto. Diciamo che, se morissi ora, la
mia sarebbe stata una vita felice. Soprattutto se mi date
un'altra caipiroska.»
«Ma tu, Federico, non credi che il destino sia già
scritto?»
«Non lo so. Forse il destino va anche sfidato con una
scelta folle, con un sentimento d'amore, con un atto di
coraggio o semplicemente con un gesto poetico. Io l'ho
sfidato perché volevo diventare più bello. Beh, non ci
sono riuscito, ma è stato sufficiente per darmi la forza
di partire. Sophie dice che la bellezza non è altro che la
promessa che ognuno di noi ha di diventare se stesso.»
La chiacchierata è stata interrotta dal mio intervento
culinario: avevo bisogno che qualcuno assaggiasse un
pezzettino di pollo. Ai tempi non riuscivo mai a capire
quando era cotto, e sì che non è difficile. L'hanno assaggiato
tutti e due. Francesca ha detto che non era pronto,
che era ancora un po' crudo, Federico ha aggiunto che
un buon veterinario avrebbe potuto riportarlo in vita.
Sono tornato ai fornelli... «Ah, ma sul riso sono un mostro
di bravura, vedrete.»
«Del panino al tonno hai notizie?» mi ha gridato Fede.
Quella del panino al tonno era una nostra vecchia storia.
Un anno avevamo fatto un viaggio in macchina per
andare al mare, e in autogrill avevamo comprato tre panini,
uno a testa e uno da dividere, perché per noi nel
mondo le misure erano sbagliate. Una pizza, per esempio,
era poco per cena, ma due erano troppe, e questo
valeva anche per la birra media o per una qualsiasi altra
bevanda. Quindi io e Federico prendevamo sempre le
cose per tre persone e dividevamo in due.
Stranamente, quella volta, dopo i due panini nessuno
aveva voglia di mangiare la metà del terzo e ce l'eravamo
dimenticato una settimana in macchina, finché un
giorno avevamo trovato il panino al posto di guida con
la cintura di sicurezza allacciata: voleva guidare lui.
Non lo avevamo buttato per tutta la vacanza, ma poi un
giorno era sparito. Io non l'avevo buttato e Federico negava
di averlo fatto. Avevamo passato un sacco di serate
immaginandoci il panino al tonno che si era rifatto
una vita altrove. La storia che ci convinceva di più lo
vedeva sposato a una focaccia con cui aveva avuto due
figli nello Stato dell'Oregon.
«No, non ho notizie, l'unica cosa che so è che avevi
ragione tu, perché l'anno scorso mi ha mandato una
cartolina dall'Oregon e tra l'altro mi sono dimenticato
di dirti che c'era scritto di salutarti.»
Era vero, ma la cartolina me l'aveva spedita Fede. Ce
l'avevo appesa dietro la scrivania in ufficio.
Francesca ci guardava senza capire, e quando sono
tornato ai fornelli ha ricominciato a fargli domande. Diciamo
che lo marcava stretto.
«Scusa, se il destino uno se lo costruisce, allora per te
Dio non esiste?»
«Per me Dio è il destino che ci attende. Credo nel mistero
della vita e sicuramente non credo in un Dio che
passa la sua giornata a giudicarmi. Io non cerco di immaginarmi
com'è Dio, ma cerco di vederlo in ogni cosa.
Dio per me non è sicuramente un alibi per ignorare la
responsabilità del mio destino e della mia vita. In passato
per me era solamente una parola rassicurante. L'idea
che ci fosse mi faceva stare più tranquillo.»
«Io, per esempio, non sono in grado di capire qual è
la scelta giusta per vivere il mio destino. Io non so esattamente
cosa è giusto per me, sono più brava a vedere
cosa è giusto per gli altri. È come quando sei in autostrada
e nella direzione opposta c'è una coda infinita a
causa di un incidente. Mi è capitato l'altro giorno. Andavo
tranquilla e osservavo. Quando sono arrivata alla
fine della coda vedevo le macchine che si avvicinavano
e avrei voluto avvisarle. Vedevo queste persone andare
verso un destino che io conoscevo. Io sapevo dove si
stavano infilando, ma loro, inconsapevoli, guidavano
con serenità. Però io non riesco a capire cosa succede
nella mia corsia. Come si fa a capire veramente qual è il
proprio destino? E poi, per esempio, io sono diversa da
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